Per comfort food si intende un qualsiasi alimento a cui si attribuisce un valore consolatorio e nostalgico.
Per la propria “felicità alimentare” alcuni ricorrono alla pizza, altri a un hamburger succoso, altri ancora affogano le loro tristezze nel cioccolato, o nelle patatine fritte.
Il comfort food cambia da persona a persona, ognuno infatti ha il suo cibo preferito per coccolare l’anima e molto spesso si tratta di alimenti tanto semplici quanto ipercalorici, come il pane burro e marmellata, il pane intinto nel sugo, il barattolo di gelato e così via.
Come è nata la definizione di comfort food.
Marcel Proust, nel suo Alla ricerca del tempo perduto (1913-1927), offre una descrizione degli effetti nostalgici e consolatori che hanno alcuni alimenti:
“Sentendomi triste per la giornata cupa e la prospettiva di un domani doloroso, portai macchinalmente alle labbra un cucchiaino del tè nel quale avevo lasciato inzuppare un pezzetto di madeleine. Ma appena la sorsata mescolata alle briciole del pasticcino toccò il mio palato, trasalii. Un delizioso piacere m’aveva invaso e subito m’aveva reso indifferenti le vicissitudini, inoffensivi i rovesci, illusoria la brevità della vita… non mi sentivo più mediocre, contingente, mortale.”
Il termine comfort food venne citato per la prima volta in un articolo sull’obesità uscito sul Palm Beach Post nel 1966:
“… quando gli adulti sono sottoposti a un forte stress emotivo, consumano quello che potrebbe essere chiamato comfort food, ovvero del cibo che per loro ha una forte correlazione con la sicurezza dell’infanzia, fra cui l’uovo in camicia che preparava la mamma per loro o il famoso brodo di pollo.”
Studi psicologici confermano che il consumo di cibi ricchi di energia, ipercalorici, ricchi di grassi, sale o zucchero, come il gelato, il cioccolato o le patatine fritte, dà un piacere gratificante o un senso temporaneo di relax. In particolari condizioni psicologiche, le persone consumano il comfort food per concedersi un piacere occasionale o, quando provano emozioni negative.